Sezione #Multimediale | Incontro con Giuliano Montaldo
Venerdì 6 maggio il regista Giuliano Montaldo, uno dei nomi più importanti del cinema italiano del dopoguerra ha incontrato i ragazzi della sezione multimediale. Ospiti di questo incontro, insieme a lui, sono stati la moglie Vera Pescarolo, sua storica collaboratrice e il nipote Inti Carboni, regista e produttore per il cinema e la televisione. L’incontro è avvenuto durante la lezione del docente Maurizio Cartolano, alla presenza della Coordinatrice di sezione Simona Banchi. Una lunga e piacevole conversazione che è stata riassunta in questo articolo proprio da uno degli studenti di multimediale, Maurizio Chirilli.
Accompagnato dalla moglie Vera Pescarolo, storica compagna di vita e di lavoro, e dal nipote Inti Carboni, suo aiuto regia in “I demoni di San Pietroburgo” (2008) e “L’industriale” (2011), Giuliano Montaldo, il premiato cineasta ha ripercorso le varie tappe della sua carriera, rivelando gustosi aneddoti e retroscena e dispensando saggi consigli con la sua nota sagacia e l’immancabile ironia.
Appena entrato in aula racconta con orgoglio del viscerale amore calcistico per il Genoa, una vera e propria fede che lo accompagna sin da bambino grazie alla passione trasferitagli dallo zio Serafino: “Avevo 6/7 anni, mio zio mi portò allo stadio con lui, il Genoa perse e mi dimenticò lì. C’era brutto tempo e avevo freddo, tornai quindi a casa avvolgendomi completamente in una bandiera rossoblu: da quel momento non potevo che diventare genoano!”.
Si passa quindi al racconto dei suoi esordi cinematografici, prima come attore sotto la regia di Carlo Lizzani e quindi come regista in “Tiro al Piccione” (1961), film sulla Resistenza che venne stroncato dalla critica tanto di destra quanto di sinistra e che lo portò addirittura a considerare di abbandonare il cinema. Spronato però a non mollare dalla moglie Vera, non abbandonò il suo sogno ottenendo successi prima con “Una Bella Grinta” (1965), premiato al festival di Berlino, quindi con le pellicole girate nel fortunato viaggio negli Stati Uniti alla fine degli anni ’60, “Ad Ogni Costo” (1967) e “Gli Intoccabili” (1969).
Ricorda poi di quando, tornato in Italia, si dedicò ad una trilogia sull’arroganza del potere rispettivamente militare, giudiziario e religioso, girando “Gott mit uns” (1970), “Sacco e Vanzetti” (1971) e “Giordano Bruno” (1973). Il regista genovese ha quindi modo di svelare anche il suo primo incontro con Gian Maria Volonté, che avvenne direttamente sul set e li vide protagonisti di un acceso scontro sul dove dovesse essere poggiata l’ascia con la quale Volonté avrebbe dovuto minacciare il suo antagonista.
Quanto alle motivazioni che lo spinsero a girare “Giordano Bruno”, Montaldo rilancia il tema dell’intolleranza, comune denominatore di molte sue opere, rivelando poi di essersi interessato a questa figura dopo un casuale incontro avvenuto in Campo de’ Fiori con un professore che, di fronte alla celebre statua del filosofo domenicano, raccontava ad alcuni giovani la storia di questo personaggio: incuriosito, si avvicinò prendendo parte alla discussione e rimanendo a tal punto affascinato da decidere di documentarsi per farne un film.
Sollecitato quindi sulle differenze tra il cinema del passato e quello di oggi, Montaldo mette in evidenza come l’aspetto tecnologico abbia assunto un’enorme importanza, dichiarandosi però un fedelissimo dei metodi più tradizionali e un nostalgico della pellicola, strumento che “costringeva” troupe e attori a dare il meglio di se stessi mantenendo la concentrazione ai massimi livelli, visti i grandi costi di gestione e di lavorazione che essa comportava. Sbagliare battute e scene girando in pellicola rappresentava infatti all’epoca una perdita di denaro ed un grande problema tecnico che invece oggi, con l’avvento del digitale, non si pone più, facendo però venir meno l’indispensabile attenzione all’errore sul set.
Su questo tema interviene anche la moglie Vera, che definisce “troppo rilassati” gli attori di oggi e sottolinea anche l’importanza di scrivere sceneggiature solide, perché “altrimenti il film sarà come una casa costruita senza le fondamenta”. E’ l’occasione perfetta per Montaldo per ricordare il suo incontro con Martin Scorsese, avvenuto nello studio del regista statunitense nel quale notò un’altissima pila di sceneggiature che Scorsese gli rivelò di aver ricevuto e scartato, non ritenendole soddisfacenti.
Ecco quindi l’invito a chi si cimenta nella scrittura, e più in generale ambisce a far carriera nel mondo del cinema, ad impegnarsi a fondo, mettendo in conto che la strada sarà difficile ed in salita e che si dovranno mandar giù bocconi amari ma facendosi forza della consapevolezza che “per la passione e la creatività, nel cinema, c’è spazio per tutti!”.
Sottolinea poi l’importanza fondamentale di circondarsi di collaboratori preparati e professionali, perché se si hanno idee creative valide ed anche una troupe con la quale c’è intesa si può lavorare al meglio, rispettando i tempi di ripresa e riuscendo ad ottenere risultati di rilievo anche senza avere a disposizione enormi risorse economiche. Gli fa eco il nipote Inti, ricordando le esperienze vissute assieme sul set.
E a chi gli domanda a quale suo film sia più legato risponde senza esitazione e con meravigliosa leggerezza “a quelli che non ho girato, perché i film non fatti sono i sogni nel cassetto”.
C’è quindi spazio per condividere un’ultima carrellata di ricordi, come la fortunata esperienza del celebre sceneggiato televisivo dedicato ai viaggi di Marco Polo e trasmesso in 76 nazioni o quella estremamente difficoltosa girando in Africa, tra mille difficoltà, “Tempo di uccidere” (1989).
Nel mezzo, nitidi ricordi di una Roma “antica” dove, negli anni ’50, “in una sola serata si potevano incontrare i maggiori esponenti del cinema italiano e parlare tranquillamente con loro di cinema, cosa che oggi è assolutamente impossibile, ognuno purtroppo naviga sulla propria zattera”.
Molto interessanti, infine, le rivelazioni su “Gli occhiali d’oro” (1987), film tratto dall’omonimo romanzo di Giorgio Bassani, riguardo il rapporto che si crea tra regista e scrittore quando si decide di sceneggiare un libro, sottolineando l’importanza di operare in questi casi scelte esclusivamente registiche senza farsi condizionare dall’autore.Arriva il momento dell’omaggio della sezione Canzone, che dedica all’ospite una versione di “Here’s to You”, memorabile colonna sonora di “Sacco e Vanzetti” diretta da Ennio Morricone e cantata da Joan Baez. Montaldo ringrazia per la gradita sorpresa e regala un ultimo aneddoto sulle sedici collaborazioni con Morricone e sull’inattesa scelta della Baez, all’epoca all’apice del successo, di incidere questo brano per lui.
Concludono l’evento una bella foto di gruppo ed un lungo applauso di tributo a questo pilastro della cinematografia, che lascia così l’edificio al fianco della moglie e del nipote.Articolo a cura di Maurizio Chirilli
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