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In evidenzaSezione #Canzone | Stefano Senardi, un discografico dalla parte degli artisti

Sezione #Canzone | Stefano Senardi, un discografico dalla parte degli artisti



Martedì 10 maggio, la sezione #Canzone di Officina Pasolini ha avuto l’onore di incontrare Stefano Senardi, uno dei nomi più importanti nella storia della discografia italiana Durante l’incontro, moderato dal giornalista Felice Liperi e da Tosca – coordinatrice della sezione – Senardi ha ripercorso le tappe della sua lunga carriera nel campo della musicale: dai primi passi con Caterina Caselli nell’allora nascente ”Ascolto”, all’esperienza alla CGD East West dove è stato direttore generale fino alla Presidenza della Polygram Italia negli anni ’90.

La carriera non è mai stata il suo obiettivo fondamentale e forse, proprio per questo motivo, ne ha fatta tanta. È stato un percorso quasi naturale – anche se assolutamente non privo di difficoltà e “pause di riflessione” – quello che ha fatto sì che Stefano Senardi si trasformasse da commesso di un piccolo negozio di dischi, disperso fra i caruggi della città di Imperia, a uno dei discografici più conosciuti e apprezzati in Europa. Ma la sua vita lavorativa è stata talmente ricca di esperienze da disattendere in buona parte questa definizione.

Direttore della CGD East West nei primi anni Ottanta e Presidente della Polygram Italia dal 92 al 97 – dopo sono arrivate la NuN (la sua etichetta), RadioFandango, Puglia Sound, X Factor, il Festivalbar, il Festival di Sanremo, Che tempo che fa e il Club Tenco – Senardi ha ripercorso, in un incontro con gli studenti della sezione canzone, le tappe fondamentali di quella che prima di essere un mestiere è stata innanzitutto una passione.

E proprio partendo dal suo irrefrenabile amore per la musica, che in tutti questi anni lo ha portato a collezionare più di 18.000 Lp, è cominciato l’incontro, moderato come sempre da Tosca, coordinatore di sezione e Felice Liperi. «La mia epoca – racconta Senardi – è stata quella in cui ascoltare un disco era l’ultimo atto di una lunga cerimonia che prima prevedeva almeno tre fasi: l’attesa dell’uscita del disco, il meticoloso accumulo dei risparmi per poterlo comprare e infine l’acquisto. Per la mia generazione la musica era sacra, perché noi con la musica pensavamo di poter cambiar il mondo. Nel mio caso tutto è cominciato ai tempi del liceo, quando per rimanere sempre informato sulle ultime novità musicali cominciai a lavorare per un negozietto di dischi della mia città. Lavoravo lì due giorni la settimana e mi facevo pagare in Lp. Fu un periodo bellissimo perché il mio compito non era solo quello di vendere, ma anche quello di consigliare. Sentivo che avevo una grossa responsabilità in questo e infatti credo di aver influenzato i gusti di quasi tutti i miei coetanei. Un giorno però mi accorsi che quelle due volte a settimana non mi bastavano più e così risposi a un annuncio sul corriere della sera: cercavano un giovane, sempre per un lavoro di venditore e sempre nel campo della musica, che fosse militesente, residente a Bologna, automunito e che sapesse l’inglese. Io corrispondevo a questo profilo solo sotto l’aspetto anagrafico… Eppure ci provai lo stesso e fui talmente convincente da farmi assumere!». Senardi racconta quegli anni come fossero trascorsi solo pochi giorni, anni in cui passa da un lavoro in giro per l’Italia – a consegnare pacchi di dischi – a lavorare prima per la CGD, diventandone rapidamente direttore e poi per la Polygram Italia, presieduta per sei anni: «Io non mi sono mai accorto di lavorare, perché prima di tutto mi sono sempre molto divertito. Mi piacciono le cose difficili, le sfide mi intrigano, e proprio per questo ho sempre cercato di fare le cose con il massimo impegno. E poi dalla mia ho un grande vantaggio: sono uno dei pochi discografici ad amare gli artisti. Sono stato io il primo, almeno in Italia, a rendere comprensibili i contratti della musica e ho sempre provato una gran gioia a vedere crescere i progetti degli artisti che seguivo e a scommettere su di loro, soprattutto sui giovani». Senardi infatti, fra le altre cose, è stato un grande scopritore di talenti, dimostrandosi fondamentale per alcuni di loro (ha contribuito al successo di Zucchero, Enrico Ruggeri, Raf, Litfiba, Capossela e Paolo Conte e molti altri). Fra questi sicuramente c’è anche Jovanotti: «la collaborazione con lui è stata molto particolare; Red Ronnie e Claudio Cecchetto mi chiesero di aiutarlo perché dopo La mia moto era diventato il simbolo dei paninari e quando appariva in pubblico gli cantavano Faccia da pirla. Così gli sono stato dietro, contribuendo a un passaggio verso un personaggio diverso – i due album in questione sono Una tribù che balla e Lorenzo 1992 – che lo ha aiutato a ritrovare una sua credibilità artistica . Il suo recupero è stato straordinario, ma questo soprattutto grazie allo stesso Lorenzo che ha studiato e si è impegnato a fondo perché l’operazione riuscisse». Ma studio e impegno bastano nell’era degli XFactor e in questo periodo di profonda crisi dell’industria musicale?

«Ovviamente prima di tutto viene il talento e poi c’è lo studio, la voglia di migliorarsi. Questi due elementi sono fondamentali sempre. E poi l’altra cosa da sapere è che se si vogliono ottenere dei risultati veri bisogna farsi il culo! Questo in tutti i campi, ma soprattutto se si desidera vivere con l’arte. Di certo non demonizzo i talent, avendo anche fatto il giudice proprio a XFactor; posso però confermare che sono dei “non luoghi” che spersonalizzano e tendono a reificare le persone, prima ancora che gli artisti, ma secondo me hanno avuto il pregio di riaccendere nei giovani la passione per la musica, passione che avevamo perso da diversi anni.

Sono convinto che questo rinnovato interesse sia il segno che qualcosa sta finalmente cambiando. L’industria della musica ormai è tenuta in vita artificialmente e il futuro arriverà dal basso, dai giovani che si uniscono, che creano insieme, perché se l’individuo non è perfetto le squadre possono esserlo! Purtroppo quei canali alternativi che l’industria non è stata in grado di riconoscere, mi riferisco innanzitutto a internet, oggi come oggi sono sotto lo stretto controllo delle grandi compagnie di distribuzione, che pagano troppo poco la musica e non permettono agli artisti di vivere. L’unica soluzione in questo momento, non mi stancherò mai di ripeterlo ai giovani, è auto-prodursi, allearsi e fare sistema. Questo è il momento giusto per una grande rivoluzione pacifica all’interno e all’esterno del business. Abbiamo il vantaggio della creatività, usiamola anche in questo senso».

Caterina Taricano

 

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Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini è un Laboratorio di Alta Formazione artistica del teatro, della canzone e del multimediale della Regione Lazio attivato a partire dal 2014 attraverso finanziamenti europei e gestito da DiSCo, Ente regionale per il diritto allo studio e la promozione alla conoscenza.

 

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