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In evidenza“Da prete a trasformista, Arturo Brachetti si racconta”

“Da prete a trasformista, Arturo Brachetti si racconta”



“Torino negli Sessanta sembrava la periferia di Budapest. Alle otto della mattina ti mettevi una camicia bianca, e a mezzogiorno aveva già cambiato colore, era diventata grigia come il fumo delle ciminiere delle fabbriche che mi circondavano” esordisce così, parlando della sua città natale, ai piedi delle montagne, Arturo Brachetti, il trasformista famoso in tutto il mondo, un vero mito vivente, che il dodici febbraio ha calcato il palcoscenico di Officina Pasolini per l’incontro Brachetti racconta Arturo; una serata in cui si è generosamente raccontato proprio cominciando dall’inizio, dalla vita quotidiana nella città operaia che lo ha visto crescere, “una Torino in cui si andava a dormire presto perché la mattina si lavorava in fabbrica” e in cui per i ragazzi non c’erano tante possibilità ricreative. “L’unica via d’uscita per me è stata la mia fantasia – spiega Brachetti – che mi è servita per creare il mondo che avrei voluto e che non c’era”. Un’immaginazione fertile, sempre pronta a nuove idee e invenzioni che in seminario, dove Brachetti aveva intrapreso gli studi per diventare sacerdote, non passava certo inosservata: “è stato un prete che faceva giochi di prestigio ad a accorgersi della mia attitudine artistica. Ho capito subito che quella sarebbe stata la mia strada. E da quel momento non ho più smesso. Persino la vita religiosa per me era uno spettacolo, una grande e suggestiva messinscena di cui amavo moltissimo i riti. E non è un caso che ancora oggi il mio modo di concepire la mia professione e la ricerca dei miei personaggi siano costruiti su una serie di riti personali che ho consolidato negli anni”.

Con l’ausilio di fotografie e filmati privati Brachetti ha quindi ricostruito le tappe principali della sua carriera, iniziata ufficialmente nel 1979 a Parigi, al famoso Paradis Latin, cabaret concorrente a alle Folies Bergere, in cui il performer ha ideato i suoi primi spettacoli, confessando di aver fatto per molto tempo anche il “tappabuchi”. “Mi ricordo ancora che il mio primo vestito – era quello di un personaggio femminile –  lo avevo ricavato da un abito di scena di una vecchia sartoria cinematografica torinese dismessa, che aveva accatastato un mucchio costumi bellissimi in una grande cantina alla periferia della città”.  E quando si parla dei suoi abiti di scena Brachetti ci tiene particolarmente a specificare che ha sempre ideato tutto da solo, scenografie comprese: “Mi è sempre piaciuto farlo, è una parte essenziale del mio lavoro. Credo che al Paradis Latin fui preso anche per questo. Probabilmente non ero il più bravo, ma certamente ero il più veloce e il più capace a trovare idee e soluzioni per i miei numeri”. Travestirsi d’altronde è il suo pane quotidiano anche nella vita di tutti i giorni: “Ogni tanto mi piace uscire di casa travestito da prete con in testa la parrucca che tanti anni fa rubai a Jean-Paul Belmondo e per scherzare mi diverto ad andare in farmacia a chiedere una confezione di viagra oppure in panetteria a domandare gli sfilatini di Santa Bernarda. Mi piace spiazzare le persone, è molto divertente creare situazioni surreali, estreme, e vedere la reazione della gente”.

Anche su i suoi riferimenti artistici, “quelli che mi hanno cambiato la vita”, Brachetti ha le idee molto chiare: Ugo Tognazzi e Paolo Poli; il primo è stato un vero e proprio “maestro della ricerca”, mentre il secondo una fonte inesauribile di ispirazione. E poi ci sono Giovanni Gabrielli, il primo trasformista italiano e Fregoli, “quasi un oggetto di culto”, senza dimenticare George Méliès, di cui il performer racconta di aver visto quasi tutti i film: “un regista che ha cambiato il cinema degli esordi, sperimentando tutti i trucchi di montaggio possibili e immaginabili”. Tra le collaborazioni che ricorda con più affetto e soddisfazione ci sono invece quelle con Aldo, Giovanni e Giacomo, il trio comico milanese per cui Brachetti ha diretto tantissime regie teatrali: “mi amano perché dicono che con me nulla è impossibile. Ed effettivamente è vero. Le idee folli o surreali non mi spaventano, secondo me si può fare tutto, è solo una questione di individuare i mezzi giusti”. E la dimostrazione arriva poco dopo, quando Brachetti estrae dalla tasca una sagoma di stoffa e improvvisa in pochi minuti 25 personaggi, i più diversi, volti e voci della storia del cinema, del teatro, della politica, del mondo dello spettacolo… “un modo per portare in scena il sogno di me stesso -afferma–  e per rispondere a chi spesso mi chiede chi sia il vero Brachetti, perché io alla fine sono tutti i miei personaggi”. In  chiusura dell’incontro l’artista ha inoltre spiegato il perché del ciuffo che da più di vent’anni  lo caratterizza: “Questo ciuffo è come i capelli di Sansone, credo che i giorno in cui, per qualche motivo, sarò costretto a tagliarlo, morirò… lo porto da quando feci in teatro Sogno di una notte di mezza estate. Ho capito che come segno di riconoscimento sarebbe stato vincente quando qualcuno in Francia mi disse che ero stato soprannominato ‘L’italien avec la tour Eiffel sur la tête’”.

C.T

 

Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini è un Laboratorio di Alta Formazione artistica del teatro, della canzone e del multimediale della Regione Lazio attivato a partire dal 2014 attraverso finanziamenti europei e gestito da DiSCo, Ente regionale per il diritto allo studio e la promozione alla conoscenza.

 

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