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In evidenzaMésa: da Officina Pasolini a Touchè

Mésa: da Officina Pasolini a Touchè



Tra le giovani voci del panorama indie contemporaneo, una delle più promettenti è sicuramente quella di Federica Messa, in arte Mésa, cantautrice romana (nelle cui vene scorre anche un po’ di sangue siciliano) che ha recentemente conquistato il pubblico della musica indipendente con il suo primo album, Touché, prodotto da Bomba dischi.  Mésa, classe 1991, ha iniziato il suo percorso artistico molto presto, lasciandosi influenzare dalla musica americana degli anni Novanta, così come dal grande cantautorato italiano. Approdata giovanissima a Officina Pasolini ha preso parte al primo anno del Laboratorio formativo, dove si è perfezionata. “A Officina ho imparato a comporre scrivendo in italiano, e per me è stato importantissimo perché questo passaggio mi ha aiutato a scoprire chi sono veramente e a mescolare insieme senza paura due mondi che prima vedevo separati, ovvero la musica americana, quella con cui sono cresciuta, e quella dei cantautori italiani…”

Recentemente hai infatti pubblicato il tuo primo album, Touchè, scritto in italiano e prodotto da una delle etichette più importanti del panorama indie attuale, ottenendo da subito critiche positive. Come stai vivendo questo momento? Ti aspettavi una risposta così positiva?

Sono molto contenta di quello che sta succedendo perché penso di aver fatto un disco che pur non essendo pop, e quindi non così immediato come tipo di ascolto, stia arrivando bene al pubblico; anche ad ascoltatori che sono meno abituati a questo tipo di musica. Sono felice di come viene recepito, e delle recensioni che ha ottenuto fino ad ora. Credo però che sia ancora tutto in divenire e debbano ancora succedere delle cose prima di fare un vero bilancio, in fondo l’album è uscito solo il 2 marzo e l’abbiamo presentato il 9.

Come sei arrivata a questo primo album?

In questi anni ho lavorato molto su tanti progetti, tra cui un EP che mi sono prodotta da sola. Ho suonato, ho cercato di mostrare il più possibile ciò che facevo e ad un certo punto mi è arrivata questa proposta da Bomba dischi, che si era già occupata dell’ufficio stampa del mio EP.

Come mai Touché? Cosa volevi comunicare?

‘Touché’ in francese significa ‘toccato’, e nel linguaggio della scherma questa espressione è pronunciata dallo schermitore colpito per riconoscere all’avversario l’esattezza del colpo eseguito. Indica insomma una sconfitta. È un’immagine forte se associata all’idea di un fallimento ‘consapevole’. Sarebbe tutto più semplice se nella vita di tutti i giorni riuscissimo ad ammettere – a noi stessi e agli altri –  con la stessa sincerità, di aver perso. Io in questo disco ci provo, mettendo insieme diverse canzoni che raccontano situazioni molto private, personali, da cui non sono uscita ‘vincitrice’…

In questo passaggio così importante della tua carriera cos’hai portato dell’esperienza a Officina Pasolini, dove ti sei formata?

Sicuramente una cosa molto importante: me stessa. Nel senso che quando sono arrivata a Officina Pasolini il progetto di Mésa non esisteva. C’era Federica, che aveva avuto vari gruppi, che scriveva in inglese… e che non sapeva bene cosa avrebbe voluto fare. I mesi che ho trascorso a Officina mi hanno cambiata radicalmente, perché ho scoperto una dimensione differente, che ha dato vita a tutto ciò che è venuto dopo. Magari questo cambiamento si sarebbe verificato ugualmente, ma sono certa che la direzione non sarebbe stata la stessa e ci avrei impiegato molto più tempo. Frequentare un luogo come Officina, così pieno di stimoli, mi dato la spinta giusta. Il confronto con i professionisti del settore era continuo e anche quello con gli altri artisti. A Officina ho capito che avrei potuto scrivere le mie canzoni anche in italiano e non solo in inglese. Il cantautorato italiano l’ho scoperto proprio frequentando questo laboratorio. La cosa più importante che ho imparato però è capire che la mia passione poteva diventare anche il mio lavoro e che questo sarebbe dipeso solo da me, dalla fiducia e dalle energie che sarei stata in grado di investire in questo sogno.

 Ti ricordi il giorno dell’audizione?

Sì, me lo ricordo bene. Ho cantato due canzoni in inglese, quelle di cui parlavo prima, perché di pronto avevo solo quelle. Tosca prima che finissi di cantare mi ha interrotto e mi ha detto: “ho saputo che fai l’università, se tu entri qui dentro devi concentrarti moltissimo su questa cosa, sei disposta a farlo?”. Quella domanda mi ha fatto intuire che forse ero piaciuta e ovviamente ho risposto: “certo che sono disposta!”. Ed effettivamente, pur avendo faticato un po’, sono riuscita a portare avanti sia il mio studio della musica, sia l’università. Quando questa esperienza è finita ho avvertito un grande vuoto.

Officina Pasolini per te è stato quindi anche un luogo di appartenenza? Un luogo dove ritrovarsi, confrontarsi e potersi concedere il tempo di riflettere?

 Sì lo è stato, senza dubbio. Molti di noi erano molto giovani, per cui anche poco consapevoli degli strumenti che avevano in quel momento. Sicuramente essere in un posto dove convivi con persone che vogliono fare la stessa cosa che vuoi fare tu, o comunque condividono dei valori comuni, e hanno gli stessi obiettivi, secondo me legittima molto il tuo sogno e il tuo lavoro e ti aiuta a trovare delle risorse in più per poterlo realizzare.

Secondo te quanto sono importanti luoghi come Officina Pasolini per contrastare la tendenza alla standardizzazione musicale imperante?

In realtà su questo argomento mi interrogo poco, faccio pochi commenti – in generale – su quello che fanno gli altri, nel senso che io credo ci sia spazio per tutto e per tutti e ognuno debba fare una cosa che sia vera, che sia sincera. Detto questo, Officina Pasolini è sicuramente un luogo dove si viene spronati a fare una cosa propria, e non cover. Lo dimostra il fatto che tutte le persone scelte per il laboratorio erano molto diverse l’una dall’altra: c’ero io, poi c’era chi – come Toto Toralbo – faceva musica napoletana, poi c’era Andrea Pascal Castillo che faceva rap… e molti altri che artisticamente non mi assomigliavano; una situazione eterogenea insomma. Officina, come dicevo, è indubbiamente un posto dove viene incoraggiato il proprio estro, la propria identità, quindi sì, è un posto dove si va volutamente controcorrente.

Tu hai frequentato Officina Pasolini quando era solo semestrale. Poi è diventata biennale e in seguito triennale. Ti sarebbe piaciuto avere più tempo?

Beh, certamente sarebbe stato un percorso più strutturato, ma i miei sei mesi per come ero io quel momento sono stati perfetti.

A Officina Pasolini è nata anche la collaborazione con un cantautore anche lui molto noto nella scena della musica indie romana, Rosso Petrolio (Antonio Rossi). Ce ne parli? Ci sono altre collaborazioni nate dalla frequentazione del Laboratorio formativo?

Sì è vero, io e Antonio Rossi ci siamo conosciuti a Officina, ma non parlerei proprio di una collaborazione. Ci conosciamo bene e ci stimiamo, e quindi quando un anno fa un nostro amico ha chiesto ad Antonio di aprire un suo concerto, mi ha proposto di esibirci insieme mescolando i brani e le voci. Ci siamo divertiti e e lo abbiamo rifatto, ma insieme non abbiamo fatto altro. La vera collaborazione è stata invece quella con Carlo Senna, un altro artista che faceva parte della sezione Canzone l’anno in cui ho frequentato io. Con lui ho arrangiato alcuni miei brani e ho fatto un po’ di date dal vivo, insomma qualcosa di più concreto.

Torniamo alla tua musica. Tu ti discosti molto dal cantautorato classico immergendoti in quello che è il linguaggio indie, espressione, nella musica, di un nuovo punto di vista. Ma secondo te qual è la forza e quali sono le debolezze di questa nuova generazione musicale?

Facendo un discorso generale, penso che la debolezza di questa (che è la mia) generazione musicale, sia il fatto che tutte le cose belle siano già state fatte, quindi non è che ci siano delle strade nuove da inventare, come poteva essere trent’anni fa. Questa è sicuramente una difficoltà ed è un punto di svantaggio, però penso che il punto di vantaggio per la mia generazione sia avere più argomenti di cui parlare – al di là dello stile musicale in cui è difficile trovare innovazioni. Argomenti più emotivi che politici rispetto al cantautorato classico, accompagnati da una maggiore libertà d’azione. Il risultato è ben poco legato a schemi prefissati… è una sorta di somma, di stratificazione di tutta la musica che abbiamo ascoltato.

Ti senti parte di un movimento o ti senti indipendente tra gli indipendenti?

Più che di un movimento mi sento parte di un momento. Di un momento storico molto interessante, dove ci sono delle persone, molto diverse fra loro, che scrivono, compongono, in grande libertà, senza preoccuparsi troppo delle etichette di genere.

C’è una caratteristica comune, qualcosa che vi unisce?

Ci si assomiglia, ma non siamo uguali. Attualmente se non sei prodotto dalle grandi case discografiche sei automaticamente indie. Questo è quindi un punto di partenza comune, ma per temi, generi e molto altro siamo tutti diversi. L’assomigliarsi è anche – forse soprattutto – un fatto generazionale.

 Qual è – se c’è – l’urgenza di scrivere per questa tua nuova generazione, e qual è la tua nello specifico?

Volendo parlare in generale, la mia generazione è un po’ sfigata; basta guardare il mondo del lavoro, e l’evidente difficoltà, rispetto ai nostri genitori, che abbiamo nel programmare il nostro futuro. Ci troviamo a dover inventare la nostra vita giorno per giorno, senza poter fare troppi programmi, e questa è una cosa importantissima nella poetica degli autori di questi anni. Se parliamo di me, invece, ciò che mi spinge a scrivere è la mia realtà quotidiana, mi sento molto legata al mondo e agli stimoli che da esso mi arrivano.

Quali sono le fonti di ispirazione per te? In parte mi hai già risposto parlando dei tuoi ascolti, ma hai una figura in particolare che puoi considerare un modello?

Le figure sono moltissime. Come dicevo tutto parte dalla mia passione per la musica americana, in particolare da quella per i Nirvana. Poi proprio nel periodo di Officina ho scoperto e imparato ad amare i cantautori italiani. Se devo fare dei nomi, direi che dal punto di vista lirico mi hanno influenzato soprattutto Francesco De Gregori e Lucio Dalla; però anche quando si parla di musica italiana mi piace spaziare; ascolto anche musica elettronica, e rap.

Tornando brevemente al discorso della formazione, quanto contano le guide giuste in questo mestiere?

Tantissimo. Il mondo è pieno di gente che vuole fare musica, e si butta in questo mare infinito di cose che peraltro grazie a internet è diventato molto frequentato, molto “nuotato”, e quindi è fondamentale avere chi ti instrada verso la libertà; perché la guida giusta per me è chi ti sprona a lavorare sulle tue attitudini, non sulla moda del momento. La moda cambia di continuo e se non ti rispecchia non ti dà modo di far uscire la tua originalità.

 Essere donna, in questo ambito, è più un vantaggio o uno svantaggio? Secondo te esiste una nuova leva femminile o reputi sorpassate le barriere di genere?

Non lo so. Non mi sono mai posta davvero questa domanda. Spesso però mi chiedono come vivo il fatto di appartenere ad una sorta di minoranza, perché effettivamente le cantautrici sono meno dei cantautori. Non ho una risposta, e credo che questo dipenda anche dal fatto che io per prima non penso in termini di genere. Se una canzone è bella e mi emoziona non mi importa di sapere se a scriverla è stato un uomo o una donna.

Adesso che ti stai misurando sempre di più con i media, anche quelli più tradizionali, qual è il tuo rapporto con loro? All’inizio per un emergente c’è soprattutto il web, in particolare per gli indie…

Direi che il rapporto è molto buono. In particolare mi piace molto la radio. È un mezzo con il quale mi trovo molto a mio agio, e ogni volta che devo fare qualcosa alla radio sono molto contenta. Non so come mai, ma mi sento a casa.

 Nel tuo primo album c’è una canzone dal titolo “Canzone retorica”. Che cos’è per te la retorica nella musica e cos’è la spontaneità?

Per me la retorica è quando vuoi fare breccia nel cuore degli altri senza avere dei veri contenuti. È un voler attirare l’attenzione in modo facile ma superficiale. La spontaneità invece è quando un autore, o anche un interprete, si apre con onestà. Ti dice ciò che è veramente importante per lui. E questo secondo me è l’unico modo per interessare gli altri in maniera duratura.

Touché è caratterizzato da un sottofondo di nostalgia… che mostra molto del tuo modo di essere…

 Sì è vero, questa nostalgia, anzi, mi piace più parlare di malinconia, è proprio il mio modo di essere, di riflettere sulle cose. È un velo che si appoggia su tutte le cose che vivo, ma non in maniera negativa, è un modo di guardare il mondo che non va confuso con la tristezza. Ed è proprio questo mio modo di guardare il mondo che mi spinge a scrivere canzoni.

A maggio parteciperai a MI AMI 2018 – Musica Importante a Milano Festival della Musica bella e dei baci: è un passaggio importante per te?

 Per me è molto importante. Da anni vedo le line-up di questo festival; avrei sempre voluto andarci come spettatrice, ma non ne ho mai avuto occasione. Ora invece ci vado per la prima volta, ma a suonare! Questa cosa mi fa molto ridere e mi emoziona non poco, perché è uno dei primi festival italiani… e poi, nel giorno in cui mi esibisco io, ci sono artisti che fanno musica indipendente da venti, trent’anni, come i Tre allegri ragazzi morti, i Prozac+ – che fanno l’anniversario di Acido Acida. Inoltre ci sarà anche Maria Antonietta, una cantautrice che amo molto.

Quali sono i tuoi nuovi progetti?

Per ora voglio concentrarmi sul presente e promuovere il più possibile questo primo disco. Con i ragazzi del mio gruppo saremo in giro a suonare da adesso all’autunno prossimo. Poi magari quando mi fermerò ricomincerà tutto il processo creativo…

 

Intervista di Caterina Taricano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini è un Laboratorio di Alta Formazione artistica del teatro, della canzone e del multimediale della Regione Lazio attivato a partire dal 2014 attraverso finanziamenti europei e gestito da DiSCo, Ente regionale per il diritto allo studio e la promozione alla conoscenza.

 

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